nelle sue anse da sciacalli in cerca di ricchezza. I fuorilegge del fiume che rubano sabbia, polvere preziosa da sempre conosciuta come l’oro del Po.
Dal Monviso
dove nasce fino al Delta dove si dissolve in mare, tagliando e assemblando
province, campagne, regioni e città il fiume Po compone - nel lento
scorrere del suo respiro – un romanzo straordinario. Un pamphlet inzuppato
di umori fluviali, storie di genti e paesaggi che trasudano poesia, tradizioni
antiche e metamorfosi epocali, nuove ricchezze e antiche sciagure, calura
opprimente e nebbie angosciose, rassegnazione, nostalgie e speranze.
E’ sulle note di questa partitura che Alberto Roveri e Beppe Bonazzoli,
uno fotografo e l’altro giornalista, si sono messi in viaggio lungo
gli argini del grande fiume per comporre, con immagini e parole, lo spartito
a mosaico della Mostra IL RESPIRO DEL FIUME. Sottotitolo « globalizzazione
e tradizione lungo le rive del Po».
Un viaggio reportage, scandito da cronaca e poesia per raccontare com’è cambiato, com’è diventato oggi il Po. Un viaggio inchiesta per documentare, di quella possente via d’acqua che attraversa e taglia l’Italia, splendori e segreti, vergogne e violenze, l’infinita varietà di luoghi e scenari, soprattutto le storie delle sue genti di ieri e di oggi ma anche tradizioni, culture, ricchezze e miserie. Una sfida voluta - attraverso questa mostra che è fotografia di cronaca e d’arte e insieme giornalismo d’autore – per delineare un affresco, una testimonianza reportage come nessuno aveva fatto.
Il parroco che, in un rito antico e quasi magico, benedice le acque. Le stagioni della siccità che mettono a nudo i veleni stratificati sui fondali, e le piene che travolgono ogni cosa, risvegliando incubi mai sopiti. I pescatori dall’Est europeo, in house boat, che danno la caccia al pesce siluro. Il silenzio tra i filari dei pioppeti (legna come antica ricchezza), e le centrali idroelettriche che assediano gli argini incorniciando paesaggi surreali; gli allevamenti intensivi di anguille e di vongole lungo il Delta dove, ancora oggi, c’è chi campa tagliando le canne a mano. Uno degli antichi mestieri che sopravvive.
Eppoi, nelle campagne a ridosso del Po, indiani sikh che accudiscono stalle e mungono vacche (per loro sacre), cinesi che raccolgono l’uva della vendemmia, marocchini che seminano meloni. Forza lavoro del Terzo Mondo venuta a convivere con quell’umanità, storica e autoctona, degli ultimi stornellatori, delle guardie vallive, dei meatori che misurano con lunghe pertiche la profondità delle acque e i livelli delle correnti. Mentre sfilano motonavi di lusso per crociere fluviali lungo quelle acque, un tempo ricche di pesci e selvaggina dove pochi coraggiosi, o forse imprudenti, ancora oggi vanno ad abbrustolirsi al sole e perfino a tuffarsi, nonostante i divieti. Lungo tutto il suo corso, quello del Po è ancora oggi un eco-idro-sistema unico in Europa, straordinario habitat che nelle sere d’estate si accende di tramonti struggenti e poi, nel buio della notte, viene saccheggiato