le basi di fisiologia per lo sportivo...

IL RAPPORTO TRA LAVORO E INTERVALLI.
LA DURATA MASSIMA DEI PERIODI DI LAVORO


Christensen partì analizzando il consumo di ossigeno, la frequenza cardiaca, il volume respiratorio e l’acido lattico nel sangue in condizioni sperimentali di lavoro e riposo.

1-Egli ha dunque alternato un lavoro di 2.16 Kg/m al min con 30” di riposo, e ha visto che i valori che risultano dalle analisi in queste condizioni sono vicini a quelli dello steady state. 2-Anche con un minuto di lavoro e uno di recupero le cose restano in condizioni simili.
3-Se invece si passa a due minuti ecco che si perdono i vantaggi del recupero, e i parametri di accumulo della fatica (e dell’acido lattico) prendono il sopravvento.
Si può pensare che si possono allungare i periodi di lavoro, concedendo un periodo di riposo molto più lungo. Ed infatti si è provato a raddoppiare la durata degli intervalli.
Ad esempio, facendo lavorare l’atleta per 2’ e poi concedendo un riposo di 5’.
4-Si è visto che prolungare l’intervallo non serve.
Dunque, anche provando a prolungare gli intervalli di riposo, si è visto che vi è un accumulo di acido lattico (dovuto alla respirazione anaerobica vista nelle pagine precedenti) che limita la durata del periodo di allenamento, in quanto l’atleta deve smettere e “non ce la fa”.
Questo limita il tempo totale in cui può dedicarsi ad un esercizio intenso, e limita li effetti generali della fisiologi dell’atleta allenato (capillarizzazione dei muscoli, sviluppo muscolare, aumento della potenza del cuore...)
Quindi, vi è un limite critico alla durata dei periodi di lavoro, che non possono superare un certo limiti ciascuno, perchè da lì in poi gli intervalli di riposo non riescono a compensare queste durate, anche se ciascun intervallo è maggiore del periodo di lavoro.
Un atleta che si esercita nel percorrere una distanza (ad esempio, nella corsa, nel nuoto, ecc) per costituire la sua tabella di allenamento deve tener conto:
1-della lunghezza percorsa in ciascun periodo di lavoro
2-della velocità a cui percorre quella lunghezza
3-del numero di ripetizioni di quel tratto di lunghezza fatti a quella velocità, ovvero del numero di periodi di lavoro
4-della durata dell’intervallo tra quei percorsi ovvero tra quei periodi di lavoro
5-di cosa si fa durante l’intervallo.
E’ evidente che un conto è stare del tutto a riposo (stesi su un materassino) un altro conto è stare in acqua muovendosi per galleggiare, un altro conto ancora è camminare compiendo con le braccia gesti ampi e rilassanti, che favoriscono sia la respirazione profonda (non dimenticate mai che è quella più efficiente) sia il passaggio del sangue attraverso i muscoli (dal sistema arterioso a quello venoso) portando ossigeno e eliminando le scorie. Sarebbe a dire ristabilendo la situazione normale, di non affaticamento.

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