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. . . . . .Sono
il primo passo verso la costruzione delle sequenze:
si
dispongono nell'immagine
i
soggetti e la scena.
La
differenza tra piani e campi, e le caratteristiche fondamentali dei campi.
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LE
INQUADRATURE
Sia in fotografia che nelle riprese in movimento si usa definire i vari tipi di inquadratura, in modo che sia chiaro cosa si intende quando dice: "si passa da un campo lungo ad un primo piano", "si stringe su un primissimo piano", cose del genere. I fotogrammi rappresentano la particella più piccola, il mattone singolo con cui vengono costruiti i film o le sequenze video. Corrispondono ad una singola immagine, intesa anche in senso fisico: una fotografia, o una "videata" sullo schermo televisivo. L'inquadratura dice "cosa c'è" in ciascun fotogramma, cosa il regista vuole mostrare in ciascuna singola immagine. Il nome deriva da "inquadrare", ed indica l'operazione di inserire oggetti e soggetti dentro lo spazio permesso dalla fotografia, dallo schermo televisivo, del telone cinematografico. Ad esempio, quando il regista o il fotografo "inquadrano" un paesaggio, un volto, una persona che cammina o che parla, non fanno che scegliere il soggetto, dimensionarlo e collocarlo dentro lo schermo in modo che risponda ai alle finalità che ci propone. E' bene chiarire questo punto: non esiste un'inquadratura ideale in
assoluto, ma in funzione di quello che si vuole esprimere.
IL PASSAGGIO A sua volta lo spostamento può essere lineare (una macchina che inquadra un ciclista da un lato, spostandosi alla stessa velocità) o angolare (si fa perno su un punto: è il caso della panoramica) Accenniamo a questi movimenti di macchina fin da ora, perchè per parlare di inquadrature si deve pur parlare per lo meno di "allargare" e di "stringere". Sono due parole abbastanza intuitive: allargare sta per "rendere più ampia" l'inquadratura, corrisponde all'aumento della porzione di scena che entra nell'obiettivo. Stringere sta per "ridurre la porzione di scena" che entra nell'obiettivo, e corrisponde ad esempio, alla zoomata su un particolare. L'inquadratura viene fortemente condizionata anche dall'angolo di ripresa. Per questo capitolo, limitiamoci a considerare come vengono classificate le inquadrature, e che significato conferiscono alle immagini. |
Si crea così
una corrispondenza tra le finalità di una inquadratura e l'inquadratura
scelta per raggiungere quella stessa finalità.
Molte persone confondono i campi con i piani. O meglio, non si sono mai chiesti del perchè si dice "campo lungo" e si dice invece "primo piano" e non "primo campo", e del perchè si dice "primissimo piano" e non "piano lungo". In realtà la differenza è molto semplice: si parla di "campo" quando ci si riferisce alla scena in genere, e si parla invece di "piano" quando ci si riferisce ad un soggetto. Ad esempio, un paesaggio in cui viene inquadrato il panorama nel suo insieme è un "campo lungo" (fig.2), se si stringe su un fiore o su un particolare si ha un "campo corto" (fig.4) o cortissimo. Invece, se si stringe su una persona si parla ad esempio di "mezzobusto" o di "primo piano". Il "mezzobusto" appartiene alla famiglia dei piani, proprio perchè il "busto" appartiene ad una persona. E' anche bene precisare che quando si parla di "soggetto", non ci si riferisce necessariamente ad una persona umana. Si parla di soggetto anche quando si inquadra un gatto; e anzi, il "soggetto" della ripresa può essere anche un bassorilievo di pietra, che non è nè umano nè animale. Precisata la distinzione tra piani e campi, iniziamo ad approfondire come vengono classificati questi ultimi. Quando si tratta di campi, si parla di "campo lungo o corto", e di "particolare" o "totale". Dove la parola "particolare" è troppo ovvia per dover essere spiegata (fig.4) e "totale" sta ad indicare tutto ciò che può essere compreso nel mirino, o comunque la scena nel suo insieme. Quindi, i "campi" si riferiscono alla scena, e sono classificati in "lunghi" quando inquadrano la scena da lontano, comprendendo tutta o gran parte di questa, e "corti" quando comprendono inquadrature di particolari. Spesso si parla anche di inquadrature più "larghe" o "strette" come sinonimo di campi lunghi o corti, anche se letteralmente i campi si riferirebbero alla distanza della scena dall'obiettivo, e le inquadrature larghe o strette si dovrebbero riferire alla quantità di scena più o meno inserita o esclusa dall'inquadratura; e questo anche a parità di distanza. |
Fig.2.Qui a lato l'esempio di un "campo lungo". Si tratta di una scena in cui vi possono essere o meno dei soggetti; ma questo non importa, perchè il "campo" è riferito all'ambiente. |
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Fig.3.Quando si "stringe" un campo lungo su una persona, o in generale quando si inquadra una persona o una parte della persona, si parla di "piano". Qui, un primo piano. |
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Fig.4 Ecco invece un esempio di "campo corto", ovvero di un "primo piano" quando non è riferito ad una persona (o a una sua raffigurazione) ma ad un oggetto o a una parte della scena |
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Fig.5. Avvicinando al massimo l'inquadratura, si ottiene un "particolare". Questa denominazione è comune sia alla serie dei piani che a quella dei campi. vale quindi per le persone e gli oggetti. |
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Ad esempio,
si potrebbe parlare di "campo lungo" parlando del panorama, e "campo corto"
parlando del fiore vicino alla macchina da ripresa. Si potrebbe parlare
di "totale" quando si inquadra un bassorilievo con lo zoom in posizione
grand'angolo e di "particolare" quando si "restringe" il campo ma mantenendo
la stessa distanza . Qualche autore distingue con più foga questa
differenza, io personalmente preferisco esporre questi due modi di classificare
i campi come equivalenti, perchè in realtà quando si "stringe"
su un particolare (ad esempio zoommando) non si può fare altro che
generare un avvicinamento soggettivo della scena, e quindi una riduzione
(per lo meno soggettivamente) della distanza tra l'obiettivo e l'oggetto
della ripresa.
E' bene non confondere i "campi lunghi" o "corti" con la "profondità di campo". Questa non è un tipo di inquadratura, ma corrisponde al numero di differenti soggetti posti a diversa distanza che possono essere messia fuoco contemporaneamente. Una grande profondità di campo consente ad esempio di mettere a fuoco contemporaneamente sia una pianta in primo piano che lo sfondo, mentre una profondità di campo ridotta mette a fuoco solo un numero limitato di oggetti. In conclusione, i campi lunghi o corti corrispondono alla quantità di scena compresa nell'inqadratura, riportata alle due dimensioni dello schermo (altezza e larghezza, lato e base del mirino). La profondità di campo si riferisce invece alla scena dal punto di vista della messa a fuoco, e questo nella terza dimensione (quella della profondità). Notate come la figura 6 inserisce la situazione nell'ambiente: nel giardino, in una giornata con il bel tempo...Se la profondità di campo fosse molto ridotta (come nel caso del primo piano della fig.3, nella pagina precedente, dove solo la testa è nitida e lo sfondo è sfocato) l'attenzione si ferma solo sul soggetto, la sua forma, la sua espressione. Questa riduzione di profondità di campo trasporta il soggetto al di fuori del luogo dove si sta muovendo: potrebbe essere in casa, o nel giardino, al mare o al ristorante: la situazione diventa irrilevante. E' bene sottolineare che i piani e i campi (che sono divisi tra loro)
si uniscono e si fondono
Qui come altrove, ogni tanto qualcuno chiede se è meglio utilizzare dei campi lunghi o dei campi corti. Nel cinema (che usa una risoluzione più elavata) ssi tende in effetti ad usare campi più lunghi, inquadrature onnicomprensive. Ma qui come altrove conta più il buon gusto e la varietà che altro. Notate che l'uso ossessivo di particolari (senza mai allargare su tutto il set) è a volte usato nei thriller per dare un senso di souspence allo spettatore, in quanto l'osservazione ossessiva di dettagli senza una visione d'insieme e' innaturale ed in fondo piuttosto ansiogena. |
Fig.6.I piani e i campi descrivono l'inquadratura nelle due dimensioni dell'altezza e della larghezza. La profondità di campo appartiene alla terza dimensione ( appunto alla "profondità"), e si riferisce ad una caratteristica della messa a fuoco. |
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