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e vecchie telecamere usavano un tubo da ripresa. Ma un nuovo tipo di
sensore ha preso piede all'improvviso, dilagando su tutte le videocamere
amatoriali. I professionisti erano molto scettici, e molte videocamere
professionali continuarono per anni a montare i vecchi tubi. Ormai ogni
diffidenza sembra scomparsa, e tutti in coro usano i sensori a stato solido.
Con 'arrivo delle fotocamere digitali, il sensore ha trovato un nuovo spazio
di mercato. Ormai non è più una novità, sia nelle
videocamere che stanno sul computer nel tinello di casa nostra come per
quelle che hanno visitato Marte a bordo del robottino della NASA: ma non
è sempre stato così. All’inizio i sensori a stato solido
erano una stranezza, un componente adottato da pochi e anche molto discusso.
Le prime ditte a gettarsi a capofitto in questa nuova tecnologia sono state
Hitachi e Sony. Le altre grosse aziende hanno prima meditato bene il passo
da compiere, ma poi hanno sostituito anche i loro tubi con questo nuovo
componente.
La prima generazione non era – per la verità – priva di problemi
qualitativi. L’applicazione dei MOS non ha dunque suscitato molto clamore,
salvo per la curiosità che una qualunque nuova soluzione tecnica
suscita al suo apparire.
Sensore
o trasduttore
La parola “sensore” -come capita spesso nel mondo della tecnologia –
è stata subito consacrata dall’uso. Sta ad indicare il dispositivo
all’interno della telecamera che traduce l’immagine ripresa in un segnale
video.
Per questa sua opera di trasformazione viene a volte indicato anche
con il termine di “trasduttore”.
Le lenti .dell’obiettivo mettono a fuoco l’immagine su un piccolo schermo
interno alla telecamera, dove si ha dunque una proiezione ottica delle
figure inquadrate. Dietro questo piccolo schermo interno c’è il
trasduttore vero e proprio; costituito di volta in volta da un tubo o da
un sensore. Quando non si ha a che fare con un tubo, si dice che si sensore
“a stato solido”.
Il tubo catodico assomiglia moltissimo ad un televisore “alla rovescia”:
un fascio di elettroni percorre lo schermo ‘leggendo” tutti i suoi punti,
che sono più o meno luminosi a seconda dell’immagine che vi è
proiettata. Questo fascio percorre la superficie più o meno illuminata,
seguendo un percorso identico ma speculare a quello del fascio di elettroni
che (sul televisore) dipinge l’immagine video. Inizia in alto a sinistra,
percorre un certo numero di righe poste l’una sotto l’altra, finisce la
lettura in basso a destra. Riprende a leggere in alto a sinistra, e così
via. La comprensione del funzionamento del sensore è allo stesso
tempo piu facile e più difficile. Più facile, perché
il principio su cui si basa è elementare. Più difficile,
perché non vi è nessun fascio
elettronico che opera in sincronia con il fascio elettronico che dipeinge
le immagini sul TV.
Il fotodiodo è il componente elementare del sensore. Immginate
che sia una celletta contenente un materiale dotato di una proprietà
molto semplice: quando viene colpito da una certa quantità di luce,
è possibile raccogliere in uscita una corrente diversa rispetto
a quando è illuminato di più o di meno.
(vedi figura 1)
fig.
1 - Ecco la spiegazione del funzionamento di un fotodiodo. Un materiale
(azzurro) lascia passare o non lascia passare la corrente (si veda la freccia
dall'alto a sinistra), a seconda se viene o no illuminato (se viene colpito
dalla luce come schematizzato a destra...)
ED
ECCO L'EFFETTO: A sinistra si raccoglie una corrente che è proporzionale
all'illuminazione del sensore.
Più sono queste cellette, più si possono avere dei dettagli
dell'immagine. Esse costituiscono infatti i mattoni con i quali viene
formata l’immagine elettronica; le aree elementari (pixel).
Più cellette analizano l'immagine, più sarà possibile
ricostruire un’immagine che punto per punto riporta gli oggetti e le persone
riprese.
Quello che importa ricordare, sono due cose:
1-un
fotodiodo emette una corrente proporzionale alla luce con cui viene colpito.
2-E
poi che un sensore è migliore quanto più sono numerosi i
fotodiodi che racchiude.
Quindi, in teoria meglio un sensore da 400.000
pixel che uno da 300.000, meglio uno da 1.000.000 di pixel (=fotodiodi)
che uno da mezzo milione.
L'aumento del numero di pixel comporta un milgioramento
della risoluzione, ma ha uno svantaggio: porta ad una perdita di luminosità.
La stessa luce che entra dall'obiettivo viene suddivisa infatti in un milione
di volte se deve illuminare un sensore da 1000000 di pixel. Viene suddivisa
tra 300.000 volte se illumina 300.000 pixel. Detto in modo più corretto,
il segnale di uscita è la somma dei singoli segnali emessi da ciascun
pixel. Se ciascun pixel viene raggiunto da un milionesimo della immagine,
darà meno segnale che quando la stessa luce cade solo su 300.000
pixel...
I Mos
attivatori
Immaginiamo ora di avere davanti a noi
questo rettangolo (sensore) contenente
un certo numero di dispositivi che tra-
sformano la luce in corrente (fotodiodi).
E immaginiamo di proiettarvi sopra l’im-
magine proveniente dalle lenti. Sul retro
del sensore si creeranno tante piccole
correnti, che saranno più o meno intense
a seconda dell’area della luce, dell’inten-
sità della luce che cade in ciascuno dei
punti corrispondenti, ma sulla faccia
anteriore.
Queste correnti sono presenti contem-
poraneamente e non costituiscono certo
un segnale video in grado di pilotare il
pennello elettronico del televisore. Oc-
: corre “metterle in fila”, l’una dopo l’al-
tra, in modo che istante dopo istante
: passi al TV (o al videoregistratore) la
corrente derivata da ciascun punto, e
corrispondente alla luminosità dell’im-
magine che l’ha generata.
Questo è compito dei MOS, specie di
transistor che funzionano come degli
interruttori: agiscono contemporanea-
mente su una fila verticale e una orizzon-
tale di aree elementari. Combinando le
due diverse direzioni sono in grado di
attivare i singoli fotodiodi, abilitandoli uno dopo l'altro ad emettere
la loro piccola corrente al momento opportuno. La figura a lato illustra
meglio di mille parole il principio di funzionamento su cui si basa questa
“identificazione” del singolo fotodiodo.
Vogliamo solo richiamare l’attenzione sulla grande velocità
con cui le piccole correnti vengono generate e riprese al-l’interno del
sensore, e quindi alla veloci-tà con cui lavorano questi transistor.
Basti pensare che un’immagine video sul nostro teleschermo cambia completamente
25 volte al secondo, e che è costituita da 625 righe ciascuna. In
ogni secondo vengono insomma dipinte oltre quindicimila righe, ciascuna
delle quali porta con sé moltissime variazioni di corrente, per
seguire le luci e le ombre di ciascuna immagine.
La
resa del colore
I fotodiodi sono microscopici. Ciascuno di essi misura 20 micron: qualcosa
come 20 millesimi di millimetro. Oltre alla velocità incredibile
con cui operano, questi dispositivi possono stupirci anche per le dimensioni
ridottissime. Pensate che ciascuno di questi fotodiodi è “incappucciato”
da un altrettanto microscopico filtro che rende possibile la resa dei colori.
I fotodiodi sono ricoperti alternativamente da un filtro giallo, uno
verde, uno ciano e uno bianco. Ciascuno di essi risponde in modo diverso
ai singoli colori. Con un metodo noto a coloro che si occupano di fotografia
(=è il motivo per cui da un negativo si ottengono foto di diverso
colore) si ottiene il colore complementare a quello originario che è
arrivato al filtro. Sottraendo il
verde al ciano, ad esempio, si ottiene il blu; che è uno dei
colori primari usati nel sistema televisivo. In pratica, vi sono MQS diversi,
che sono in grado di emettere una certa corrente non tanto quando sono
colpiti dalla luce, ma quando sono colpiti da luce di un certo colore.
La corrente in uscita non ha naturalmente un proprio “colore”: quando
si ha corrente da un certo diodo, significa che la luce era di un certo
colore.
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I vantaggi
Un dispositivo di questo tipo presenta sicuri vantaggi; non si spiegherebbe
altrimenti il successo che ha riscosso.
Proviamo ad esaminare brevemente i principali.
La corsa verso la riduzione a
tutti i costi delle dimensioni e peso delle telecamere ha trovato un prezioso
alleato in questo dispositivo. E molto meno ingombrante del vecchio tubo
catodico, e permette quindi apparecchi più compatti.
Permette di eliminare alcuni disturbi
molto fastidiosi presenti più o meno in tutti gli altri dispositivi.
Ad esempio, i tubi economici (es. Vidicon) generano un “effetto cometa”
insopportabile. I tubi migliori (Saticon, Newicon) hanno ridotto molto
l’incohveniente, ma non l’hanno eliminato. Con i sensori a stato solido
il problema è letteralmente scomparso.
E' di accensione immediata. I tubi
avevano bisogod i essere scaldati, e la telecamera doveva essere tenuta
in stand-by
E' più robusto a fronte
degli urti e sollecitazioni meccaniche.
Ha una durata superiore. I tubi
tendono ad esaurirsi, i sensori pare abbiano uan durata 100 volte superiore.
Fornisce prestazioni costanti.
I tubi tendono a divenire meno sensibili, a cambiare la qualità
del colore e in generale cambiare le performances.
Da ultimo, una dei vantaggi più
importanti: i sensori consumano molta meno corrente. Quindi, possono essere
applicati su macchine più piccole e meno pesanti (per via
delle batterie più piccole) oppure offrono più ripresa a
parità di batterie. |
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